Cesare Ruffato: tra radiologia e poesia

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Zairo Ferrante

Zairo Ferrante

Cesare Ruffato (Padova, 1924 – Padova, 23 novembre 2018) è stato uno tra i poeti nazionali più
incisivi del secondo Novecento Italiano. Gran parte della critica letteraria lo considera, come si può
leggere anche su Wikipedia, un “poeta sperimentale tra i più originali del nostro secondo
Novecento”. La sua attività letteraria inizia a partire dagli anni sessanta, dopo essersi laureato in
Medicina e Chirurgia nel 1949 e dopo aver ottenuto la libera docenza in Radiologia nel 1958.
Analizzando in modo attento e critico la sua produzione poetica si può facilmente constatare che il
tratto distintivo del suo fare poesia risiede proprio nel suo essere Medico e Radiologo.
I suoi scritti, infatti, sono spesso caratterizzati dall’utilizzo di termini scientifici e da tecnicismi che
svolgono non soltanto un ruolo decorativo ma divengono funzionali ad una vera e propria ricerca
gnoseologica.
Ruffato tende ad indagare il mondo che lo circonda non col fare del Poeta ma col fare
epistemologico del Medico o, meglio ancora, del Medico Radiologo.
Nelle sue poesie si palesano in modo inconfondibile i richiami alla medicina e alla patologia ( *Le
valli planano rondini/plancton sulle strisce di fieno,/varicosità nelle dita, curve/ stridenti nell’asma della
sera) ed emergono il rigore e l’attenzione, intrisi di passione, con i quali il Poeta tenta di
comprendere la realtà circostante; rigore ed attenzione proprio uguali a quelli con cui il Medico
Radiologo cerca di interpretare le immagini.
Un mondo da decifrare, che si schiude agli occhi del Radiologo-Poeta con la lentezza propria delle
sequenze d’immagini incluse in un esame diagnostico complesso, dove non basta soltanto
guardare ma diviene necessario decodificare e dare un senso e delle risposte alle proprie e alle
altrui domande:
**Diversamente l’infanzia nei boschi
riflette valori più seri
nelle rime del sogno e delle interrogazioni.
I segnali esplorano le sequenze di entrata.
Si scopre con umiltà la curva degli specchi
che rimanda con molta cura le apparenze

indesiderabili e la solitudine vertiginosa

Il futuro li penetra nella paura del vuoto.

La metafora del mondo interpella gli alberi

Afferrano i profili con disagio
fra ostacoli e domande. Le istanze
del possibile si ostinano in legami
strani. Utopia il ritorno dallo sfondo.
Si dispongono all’umore impeccabile
come ideografie per un libro d’amore.
Pare sia sempre
il centro a mollare per primo

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