di Adelfio Elio Cardinale
La politica è capace di incidere nelle carriere e concorsi, più delle baronie universitarie.
Venezia, settembre 1934, congresso internazionale di elettro-radio-biologia: inaugura il convegno – in nome del Re Imperatore – il Duca di Genova; presiede il celeberrimo Premio Nobel Guglielmo Marconi, presidente dell’Accademia d’Italia, nominato da Vittorio Emanuele III senatore e marchese per l’invenzione della telegrafia senza fili e per gli studi pionieristici sulle trasmissioni radio.
Fece gli onori di casa S.E. il conte Volpi di Misurata e, di certo, fu il più clamoroso e splendido convegno dell’epoca per ricevimenti e afflusso di personalità: altezze reali, eccellenze, duchi, podestà, senatori, gerarchi.
Ospite d’onore della manifestazione è una personalità sovietica, Gurvič, che presenta la sua sensazionale scoperta di un nuovo tipo di raggi. I congressisti furono avvisati che “da nessun limite di tempo verrà ostacolata la relazione dello scienziato, in considerazione dell’altissimo interesse dell’argomento”.
Aleksandr Gavrilovič Gurvič – viso furbetto da satiro, occhialini, ampia calvizie, occhi vivaci, baffi e pizzetto che lo facevano assomigliare a Lenin – era nato a Poltava, in Russia, nel 1874; biologo e medico, insegnò anatomia nei corsi di istruzione femminile di San Pietroburgo, poi divenuta Leningrado; successivamente fu professore presso l’Università di Crimea. Il tema principale delle sue ricerche – inizialmente serie e documentate – riguardò le cause della divisione cellulare e gli effetti dell’irradiazione ultravioletta sulla cellula.
I primi decenni del secolo XX furono caratterizzati dalle fondamentali ricerche sull’atomo e sul suo nucleo, con la scoperta del radium, della radioattività naturale e artificiale, da parte di eminenti scienziati quali Becquerel e Maria Curie. Forse preso d’invidia, Gurvič nel 1923, con grande magniloquenza, comunicò di avere scoperto delle radiazioni emesse intrinsecamente dagli organismi viventi, che avevano la capacità di determinare l’accrescimento e lo sviluppo di cellule e tessuti, specie nel periodo embrionario. Di questi raggi lo scienziato scopritore disse di avere dato dimostrazione sperimentale con certezza inoppugnabile, mediante conferme di natura fotografica, spettrografica, nonché elettronica ( a suo dire). In onore dello scopritore si propose che i “raggi mitogenetici” detti anche “radiazioni eccitomoltiplicative” venissero denominati “raggi Gurvič” e il fenomeno della moltiplicazione e dell’eccitazione intrinseca biologica indotta da questi raggi fu detto “fenomeno Gurvič”.
La base sperimentale della scoperta – sempre secondo l’autore – consisteva essenzialmente in questo: “che, prese due radici di cipolla in vegetazione e disposte in modo che la punta di una radice guardasse a breve distanza il fianco dell’altra, nel lato affrontato di questa l’esame microscopico trovava essersi sviluppata una quantità maggiore di divisioni cellulari che nel lato opposto”. Il professore asserì, inoltre, di avere identificato al microscopio il sito esatto che emetteva questi raggi biologici, che denominò imbuto radiatore, “situato con estrema precisione all’unione fra la radice e la superficie di impianto del bulbo della cipolla” : di queste sue visioni fece analitici e minuziosi disegni scientifici, che furono pubblicati.
Secondo i canoni filosofici di Marx, Engels e Lenin occorreva costruire un modello alternativo di scienza, contrapponendo alla concezione borghese una “concezione proletaria della scienza”.
La mirabolante “scoperta” di Gurvič sembrava calzare a pennello con i principi del materialismo dialettico, e appariva come incontrovertibile riscontro sperimentale dell’affermazione di Engels in Dialettica della natura: “La vecchia teologia è andata al diavolo, ma è saldamente stabilita ora la certezza che la materia nel suo eterno ciclo si muove secondo leggi che a un determinato stadio producono necessariamente negli esseri organici lo spirito pensante”.
Il regime sovietico si impossessò subito della scoperta, la fece propria e – con i potenti mezzi dell’apparato bolscevico – agì da cassa di risonanza. Gurvič fu promosso, per meriti ideologici, e nominato dapprima direttore dell’Istituto di Medicina Sperimentale di Pietroburgo e successivamente, per somma fama, professore e direttore dell’Istituto di Istologia dell’Università di Mosca.
Con ponderosa prosopopea Ivan Parfent’vič Borodin, botanico in un istituto forestale, comunicò di avere accuratamente misurato la lunghezza d’onda dei raggi in oggetto e la pose tra 1900 e 2500 angstrom. Per questa conferma anche il Borodin ebbe la sua piccola quota di dividendo scientifico e fu nominato dal regime professore dell’Accademia militare e docente nell’Università.
Anche nella lontana Mosca, come a Napoli “i figli so’ pezz’e ‘core”. Anna Gurvič, la figlia, fu stimolata da papà e nel 1934 entrò nel mondo della scienza, dimostrando che i raggi del babbo influenzavano, aggiuntivamente, anche il sistema nervoso centrale.
In campo oncologico Gurvič rilevò la comparsa di queste radiazioni dal sangue e dall’urina di pazienti affetti da tumore: dunque era possibile finalmente avere una diagnosi inoppugnabile e precocissima. Gavrilovič, inoltre, formulò la teoria definitiva sull’oncogenesi, cioè sulla nascita dei tumori con la collegata terapia. Il nido primigenio di cellule neoplastiche si sviluppava tumultuosamente per un campo intenso di radiazioni citogenetiche, quindi modulando o bloccando questi raggi si fermava la crescita e la diffusione del tumore. Tutto ciò, naturalmente, destò enorme interesse e aspettative non solo tra i medici, ma soprattutto nell’universo sofferente dei malati neoplastici.
“La illuminazione dell’occhio del coniglio – scriveva Anna – provoca una radiazione mitogenetica (per riserbo filiale, aveva il pudore di non chiamarla con il suo cognome) del nervo ottico e nei lobi ottici, che si fa sentire negli emisferi e nel bulbo, non però fino al midollo spinale”. Cioè con linguaggio povero, la filiale creatura – presa anche lei da alcoolismo scientifico – gridava di avere documentato una vera e propria transustanziazione, una creatura “ex vacuo” del mirabolante raggio da parte di mamma luce: in soldoni, con una semplice lampadina tascabile, sarebbe stato possibile influenzare le capacità intellettive e cerebrali di un animale.
Il trionfo era completo. In vero desta stupore notare che – dal 1923, epoca dell’annuncio, al culmine del ciclo, attorno agli anni ’30 – la comunità scientifica internazionale fu pervasa da questa grottesca infatuazione. Furono pubblicati oltre 500 rapporti a conferma di questi raggi: i risultati, come risulta dai lavori a stampa, furono – a detta degli sperimentatori – confermati, fotografati, misurati e verificati in un’insalata pseudo-scientifica di verdure, tuberi, batteri, cellule, tessuti, umori, liquidi organici, animali.
Purtroppo qualcuno, nella comunità scientifica italiana, non fu esente da questo rimbambimento. Uno dei massimi professori di radiologia dell’epoca scrisse un ponderoso trattato di Radiobiologia, in tre tomi, e dedicò oltre 150 pagine alle analizzate fanfaronate dello sperimentatore bolscevico.
Per chi non è competente di fisica o di radiobiologia la scoperta del russo può apparire come una delle tante illusioni sperimentali, non rare nel mondo della ricerca. E’ giusto e doveroso, per contro, sottolineare per il lettore che l’argomento scientifico di Gurvič – nella premessa e nei fantomatici controlli e sviluppi – è una mera castroneria, perché mancante di ogni base fisica e logica attinente alle radiazioni.
Va a merito della scienza italiana avere stroncato questo febbrile e diffuso rimbambimento: il prof. Franco Rasetti – uno dei “ragazzi di via Panisperna”, allievo di Fermi e titolare di spettroscopia nell’Università di Roma – definì “presunti e dichiarati” i raggi Gurvič, negò la loro esistenza e propose, con azzeccato sarcasmo, di definirli raggi “mitico-genetici”.